Di Stefano Zuliani • 19 giugno 2020
Il premio Pulitzer 2020 per la narrativa è andato a Colson Whitehead e al suo romanzo I ragazzi della Nickel (ed. italiana Mondadori). Uno dei temi centrali del libro è il persistere di una mentalità fortemente razzista nonostante il progredire di movimenti come fu quello di Martin Luther King. Allora si combatteva contro il segregazionismo, oggi il motto è Black Lives Matter. Ma perché questo tema ci ha ancora una volta conquistati?
Sicuramente c’è di mezzo un grande autore e il suo modo preciso e delicato di descrivere l’orrore. C’è la scelta, forse più fortunata che sapiente, di mettere le parole del reverendo King in bocca non a un attivista, a un uomo politico, a un galeotto che ha subito un’ingiustizia, bensì a un bambino. Dovrebbe essere un ragazzino Elwood Curtis, il protagonista di questa storia, ma il suo sguardo è proprio quello di un bambino: vede l’ingiustizia, possiede la rabbia, il desiderio di cambiare le cose, e anche la speranza di riuscirci. Eppure ha ancora l’umiltà di abbassare la testa davanti alle regole, anche a quelle sbagliate; non si sente ancora abbastanza grande per fare la differenza, neanche mentre si unisce a una protesta antisegregazionista. Si fida degli adulti come fanno i bambini, anche se ha visto, ha sentito sulla sua pelle, quello che sono capaci di fargli.
C’è altro. In queste settimane il movimento Black Lives Matter sta prendendosi le strade e le piazze di molte città degli Stati Uniti e di alcune capitali europee. Complici le difficoltà socioeconomiche dovute al lockdown, stanno insorgendo gruppi di attivisti (e non) contro i governi conservatori e i lasciti di una cultura nazionale che celebra un passato fortemente schiavista. Mai come oggi il tema delle discriminazioni razziali attira la nostra attenzione e muove la nostra sensibilità.
Ma Black Lives Matter (così come il suo corrispettivo a destra Blue Lives Matter) è un movimento che già in passato è stato utilizzato dagli insider dei new media per destabilizzare i governi e smuovere l’opinione pubblica. Sui meccanismi per fare questo è stato scritto molto, e molto si sta ancora scrivendo: qualcosa lo si trova nel film-documentario The Great Hack disponibile su Netflix (tratto dal libro dell’ex-Cambridge Analytica Britanny Kaiser La dittatura dei dati, HarperCollins), per quanto riguarda l’Italia una chiarissima esposizione è quella del giornalista e attuale presidente della Rai Marcello Foa, nel libro Gli stregoni della notizia, atto secondo (Guerini e Associati – ne abbiamo già parlato brevemente qui).
In questo caso, la coincidenza temporale fa pensare a un diversivo, cioè a una notizia nutrita inizialmente dai media al fine di sviare l’attenzione da problemi di carattere politico, economico, o comunque più complessi e troppo rischiosi per essere affrontati nel tempo di una news televisiva o di uno scroll. Questo spiega in parte l’enorme e improvvisa risonanza della notizia. Non significa però che la protesta non esista. E, ancora più importante, non significa che il problema non esista.
Eh no, il problema esiste eccome, e non solo a Parigi e negli Stati Uniti. Gran parte dell’opinione pubblica, com’è giusto che sia, sta prendendo posizione (basti pensare alla mobilitazione sui social di politici, artisti, sportivi, vip, brand e utenti comuni). Ci piace schierarci dalla parte delle rivendicazioni dei neri. Perché? Beh, perché sono giuste. Perché siamo tutti d’accordo (e questo, a maggior ragione, fa pensare all’effetto diversivo – una bolla di utenti tutti d’accordo che “se la cantano e se la suonano tra di loro”).
Come ci mostra il libro di Colson Whitehead, le discriminazioni si annidano molto più in profondità e sono difficili da portare alla luce. Qui stiamo combattendo contro una parte della nostra cultura che è radicata molto nel profondo, e si manifesta più nelle consuetudini di tutti che nelle ideologie di pochi. Non è trasmessa dall’educazione come una dottrina, ma è l’aria che respiriamo, l’ambiente in cui viviamo. Esiste ed è pericolosa, ma la superficie razionale di ognuno di noi, quella che entra in gioco (o almeno dovrebbe entrare in gioco) quando riflettiamo sulle questioni politiche, è pienamente d’accordo con qualsiasi rivendicazione di total equality.
Ecco un classico esempio, il cosiddetto Doll Test, rifatto di recente con bambini italiani:
Questo video mette in luce anche un altro aspetto, che sembra scontato, ma forse è il caso di esplicitarlo. Il razzismo esiste anche in Italia. Non se ne sta parlando molto, ma c’è. Quando pensiamo al Black Lives Matter pensiamo ai falliti tentativi di integrazione nelle grandi città statunitensi, in Francia e Gran Bretagna, o tutt’al più nei piccoli centri americani (come quello dove è ambientato.
Forse un altro motivo per cui ci piace così tanto parlare di questo movimento è che ci fa percepire il fenomeno del razzismo come qualcosa di lontano, che non ci coinvolge personalmente, non chiama in causa le nostre azioni quotidiane, i nostri dubbi, esitazioni, perfino i nostri pensieri più intimi. È un problema loro, non nostro. Una battaglia giusta, ma vista sempre e solo attraverso la mediazione di uno schermo. Le immagini intense o tremende di cui siamo spettatori non sono poi tanto diverse da un film o un reality show. E invece, di episodi di odio razziale ne abbiamo avuti tanti, anche in Italia, anche di recente, anche da parte di soggetti istituzionali, magari non la polizia, magari qualcun altro (fa differenza?).
Le notizie delle manifestazioni ci stanno facendo percepire questo problema come qualcosa di quasi superato, limpido, con una sola ragionevole posizione possibile: l’antirazzismo. Siamo tutti d’accordo, così d’accordo da non aver neanche bisogno di rifletterci su, di mettere in discussione non le nostre convinzioni ma le nostre azioni quotidiane, i preconcetti più radicati di cui non abbiamo consapevolezza – e forse è per questo che, con la coscienza pulita, stiamo tutti postando #BlackLivesMatter.
Immagine di copertina da Dinamo Press. La copia de I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead in fotografia è stata presa in prestito al circuito della Biblioteche Nazionali.