Di Stefano Zuliani • 26 novembre 2019
Madrigale senza suono. Morte di Carlo Gesualdo, principe di Venosa di Andrea Tarabbia (Bollati Boringhieri, 2019) è, come si evince già dal titolo, un romanzo complesso. Una prosa elaborata e ricca, come ha evidenziato anche la giuria dei letterati del premio Campiello 2019. E tuttavia ha una trama oscura e non proprio edificante, intricata in alcuni passaggi. E anche l’ambientazione può essere un po’ ostica per un lettore digiuno o quasi di romanzo storico (come me).
Siamo nel Seicento. Carlo Gesualdo è appunto il principe di Venosa, ed è un musicista, anzi un compositore. Noi lo riscopriamo molti anni dopo, insieme a Stravinskij che, quasi per caso, entra in possesso di un libro di madrigali composti da Carlo Gesualdo. Ne è talmente rapito che decide di dedicarsi allo studio della sua opera e arriva a riportare in scena i madrigali a Venezia.
È nel corso di questa ricerca che Stravinskij si trova per le mani un documento molto strano: un diario redatto da qualcuno che sembrerebbe essere un servo di Carlo Gesualdo. Gioacchino, così si chiama il narratore, è una specie di nano storpio, così brutto che le persone non possono guardarlo senza provare ribrezzo, tanto che si è abituato a seguire sempre il suo padrone rimanendo nascosto negli angoli bui delle stanze. Eppure Gioacchino è un personaggio particolare, perfino più evocativo del principe. Il suo minuzioso rendiconto tradisce una cura, un affetto. Nelle sue parole è disciolto un tormento, una sensualità vivissima ma quasi del tutto repressa, un’innocenza e una malizia. Gioacchino ama e allo stesso tempo invidia ciò che il suo padrone possiede – il talento, le donne… – e a lui è negato. Ama il suo padrone, ma al tempo stesso è testimone di tutte le sue malefatte.
Sì perché, se c’è una cosa che non manca nella vita di Carlo Gesualdo è l’oscurità, i segreti, talvolta la pura malvagità. La materia sporca che cercherà sempre di distillare nelle sue composizioni, quasi che per poter introdurre una certa dose di bellezza nel mondo si fosse costretti a introdurvi, da qualche altra parte, una pari dose di mostruosità.
E Gioacchino, che mostruoso lo è già di per sé, che in fondo è un gregario, non certo uno che tira i fili della Storia – Gioacchino sta a guardare, aiuta, incoraggia, fa quel che fanno i servi quando ai padroni occorre. E scrive. Il suo sguardo è così centrale in tutta la vicenda, che solo a un certo punto iniziamo a renderci conto che forse è Gioacchino il vero protagonista.
E infatti, mano a mano che si avvicina all’epilogo, Gioacchino solleva anche un’altra questione, e Madrigale senza suono cambia volto. Tutto ciò che era chiaro diventa dubbio, e la realtà non è più salda sotto i nostri piedi. Non solo Gioacchino è protagonista in luogo di Carlo Gesualdo, ma in un certo senso Gioacchino è Carlo Gesualdo. C’è e non c’è, come uno spettro o un mostro del romanzo gotico; è una creatura che una forza soprannaturale ha afferrato e trascinato fuori dalle viscere di Carlo Gesualdo. Gioacchino incarna il male che vive dentro il principe di Venosa, compositore di grandi opere, madrigali che possono suonare proprio perché laggiù, da qualche parte, c’è un Gioacchino, sepolto, muto.
Leggere Madrigale senza suono di Andrea Tarabbia è come immergersi. E quando alla fine riemergi, nei rari momenti in cui Stravinskij prende la parola e ti riporta al presente, ti senti cancellato. Sei spettatore di un grande movimento storico che procede senza di te, per necessità. Sei la macchina da presa quando, in punto di morte, Mr. Kane diceva Rosebud ma non c’era nessuno nella stanza ad ascoltarlo.